L'autunno ... con il whisky
Ai tempi spassosi della gioventù, avevo un certo debole per i costosissimi Armagnac francesi. Mi piaceva l’eleganza, la finezza quasi intellettuale del pregiato distillato di vino. Erano d’altronde, i tempi delle letture impegnate, della filosofia, dei sogni sul mondo, e l’Armagnac, il nobile e aristocratico Armagnac, teneva il conto.
Tra Armagnac e Grappa
Con l’Armagnac, ogni tanto, per una sorta di cuginanza affettiva, mi piaceva perdermi nell’asprezza dell’acquavite bretone e normanna di sidro di mele, il Calvados, che ogni tanto riportavo furtivamente dai miei numerosi viaggi in Bretagna. Accompagnavo il tutto con il sapore contadino della Grappa – ma, attenzione, la Grappa va bevuta nel luogo di origine, altrimenti non ha sapore –. Ancora oggi, se devo salvare una Grappa, dico sempre la Grappa invecchiata di 25 anni del Castello di Spessa a Capriva del Friuli. Imperdibile.
Sua maestà, il Whisky
Il tempo, come sempre succede, e il corso della vita, ha deviato il flusso dei miei superalcolici preferiti. Da alcuni anni, vedo, ascolto, annuso, degusto, assaggio e mi genufletto davanti a un single malt scozzese, al re dei superalcolici, il whisky. Credo che non ci sia una bevanda come il whisky, il famoso distillato ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di vari cereali, maturato in botti di legno, che ci avvicini al paradiso.
Avvicinarsi a un buon bicchiere di whisky significa celebrare la storia, la vita e qualche scorribanda che, appunto, andrebbe raccontata solo attraverso serate in amicizia e beverine.
Con il whisky, sia esso originario di Campbeltown, Highlands, Islay, Lowlands e Speyside (le cinque zone di produzione della Scozia) ho un rapporto di amore profondo, quasi ancestrale.
Non attraverso più le zone umaniste del nobile Armagnac, basta un sorso per perdermi nel Medioevo, in racconti di pirati e mercenari, nell’Inquisizione e nella Controriforma, in viaggi per mari e monti, attraverso salmi e compiete, liuti e tamburi, re e regine, bettole e imperatori, donne di facili costumi e contrabbandi.
dom Pierre Perignon e il suo olfatto...
Delle volte mi appare, subito dopo il primo sorso, quel mattacchione di dom Pierre Perignon (sì, avete capito, proprio lui, il famoso inventore dello champagne…), che nel 1668 diventò cellario dell’Abbazia di Hautvillers, incarico mantenuto fino al 1715, anno della sua morte. All’interno dell’Abbazia, più che della liturgia delle ore, si occupò della cura delle vigne, delle cantine del monastero e delle tecniche vitivinicole. Fin ad arrivare a registrare quello che tutti noi oggi conosciamo come il metodo classico (o méthode champenoise, che prende nome dalla regione francese dello Champagne), un processo di produzione di vino spumante, che consiste nell'indurre la rifermentazione dei vini in bottiglia attraverso l'introduzione di zuccheri e lieviti selezionati.
I miei preferiti
Qualche whisky a cui non potrei mai rinunciare? Sicuramente alcuni delle Islay: Caol Ila, tanto per iniziare, e poi l’insuperabile torbato mix di tre diverse botti, ex-Bourbon, ex-Sherry Pedro Ximenez e botti vergini, che è l’An Oa Ardbeg.
Poi un whisky delizioso, unico, trascendentale: l’Edradour. L’Edradour era molto nota qualche anno fa per essere la più piccola distilleria di Scozia, con una produzione di soli 12 botti alla settimana e gestita da soli tre uomini a tempo pieno che si occupano di tutta la fase di produzione e che seguono metodi di lavorazione completamente manuale. Un lusso.
Avendo frequentato diverse volte il monastero di Camaldoli, ho potuto constatare come, al di là degli anni dei monaci e dei loro acciacchi fisici, tendenzialmente dopo ogni pranzo sorseggiano sempre un buon bicchierino del loro famosissimo Laurus, il liquore preferito di Camaldoli, che nasce da un’infusione di dodici erbe fra cui predomina l’alloro. Mi hanno sempre risposto, a domanda diretta, che il Laurus, con la sua forte predominante alcolica di 48 gradi, non è che faccia digerire, in realtà “fa proprio bene al corpo”. Soprattutto se attraversato dai classici malanni stagionali.
Malgrado le proibizioni del nutrizionista, applico questo concetto “che fa bene al corpo” dei miei amici monaci camaldolesi, al mio nettare degli dei, il whisky.
E mi sembra che, tutto sommato, i miei amici monaci abbiano davvero ragione. A ragion bevuta.
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