Post

Visualizzazione dei post da 2024

Quel pane bianco di Servola

Immagine
Servola è un antico villaggio abbarbicato sui colli di Trieste. Deve la propria fama all’antica arte delle pancogole , che qui si tramandava “di madre in figlia”. Un pane buonissimo, quello di Servola, preparato dalle abili mani delle pancogole o portatrici di pane.  Un pane bianco preparato con diverse farine pregiate, che per secoli ha accomunato e unito i sapori di Trieste, Vienna e Lubiana. Il tipico sapore e aroma provenivano dal legno usato nella cottura, il   nocino .   Le pancogole preparavano il pane in casa svegliandosi durante la notte per l’impasto finale e la cottura, per poi recarsi in città in processione e così venderlo. Avevano  un portamento elegante,  tenendo in equilibrio sulla testa un gran cesto coperto da un fazzoletto bianco.  Oggi qualche panetteria triestina ancora prepara il pane bianco di Servola.   Allestito in una piccola abitazione del paese, in via del   Pane Bianco , il   Museo etnografico di Servola   r...

Le "sise" delle monache di Guardiagrele

Immagine
Ai piedi della Maiella c’è un borgo che si chiama Guardiagrele. Rinomato per l’artigianato abruzzese di qualità, il suo vero vanto però è la produzione delle famose “sise” delle monache, un dolce molto gustoso a tre punte che nasconde, dal nome, un’origine a dir poco maliziosa.  Una leggenda racconta che le monache usassero nascondere un pezzo di stoffa tra i seni per nascondere le protuberanze e assumere una fisionomia più neutra.  C’è chi dice, invece, che le tre punte farebbero riferimento alle tre vette della Maiella visibili proprio da Guardiagrele.  Infine, qualche studio più approfondito relega l’origine delle sise delle monache al fatto che la ricetta sia stata inventata dalle monache del convento di Santa Chiara in centro al paese. Assaggiare questo dolce vale il viaggio a Guardiagrele. Preparate con un impasto morbido a base di tuorli d’uovo e albumi montati con lo zucchero e infornati, una volta cotte, vengono farcite con la crema pasticciera e spruzzate con lo...

Il Lacryma Christi è tornato

Immagine
Un vino profumato, leggero, morbido, dall’olfatto e gusto accattivanti, che sta riscuotendo un notevole successo tra il pubblico giovanile. Il Lacryma Christi , vino tipico dell’area del Vesuvio, si accompagna per la sua provenienza a diverse leggende. La prima narra che Dio, riconoscendo nel Golfo di Napoli un lembo di cielo strappato da Lucifero durante la caduta verso gli inferi, pianse e quelle lacrime diedero origine alla vite (anche se non è propriamente un vitigno) del Lacryma Christi.  Una seconda versione ci racconta che Cristo, visitando un eremita, trasformò il suo vino, poco bevibile, in un nettare divino.  Si tratta in realtà di un vino ottenuto da una miscela ( blend ) di varietà tipiche della zona di produzione del Golfo di Napoli: vino essenzialmente bianco ma esiste anche il rosso.  Oggi il prodotto è tornato di nicchia. Elegante, piacevole al gusto, adatto per un aperitivo, si abbina bene per una tavola sostanziosa al pesce, ai crostacei, ai risotti...

Il pane della fede e della misericordia

Immagine
Il giorno di Pasqua è la festa del pane , il miracolo dell’impasto della farina con l’acqua che genera sostentamento, vita, allegria.  Un pane della fede che lo studioso del Mediterraneo,  Predrag Matvejević,   chiama  pane delle lacrime ,  raccontando degli ebrei sefarditi che preparavano il loro pane azzimo nella settimana di Pasqua, quando, alla vigilia dello Shabbat e nei giorni dello Jom Kippur, dal vecchio ghetto si diffondeva un gradito profumo di pane accompagnato da silenziose preghiere.  Oppure il  pane della nostalgia   dei Greci scappati dalle loro coste per paura dei Turchi, e rifugiatisi nella laguna veneta.  E ancora il  pane dell’esilio   dei monaci armeni, che nei giorni di festa, cuociono il loro pane bianco, piatto, schiacciato.  Fino alla pietà popolare che posa il suo  pane dei poveri   in nicchie ricoperte di ruggine, sui muri delle case e delle chiese, in luoghi poco esposti. Alla crosta di pane...

Sua santità, la birra

Immagine
Come scrive Michael Jackson, uno dei più grandi intenditori di birra del mondo, «le birre trappiste racchiudono tutti gli elementi della Trinità suddetta, hanno un corpo solido e un’anima profonda. In Belgio vengono servite con riverenza a temperatura naturale di cantina o di casa, in magnifiche coppe con stelo che portano il nome del produttore».  Le birre trappiste , però, non confondiamole con le numerose birre “d’abbazia” che, originarie di un’abbazia, vengono oggi prodotte da altre birrerie. La birra trappista è riconoscibile dal logo  Authentic Trappist Product (9 sono i birrifici trappisti in tutto il mondo e ben 5 di questi sono in Belgio), deve essere prodotta in un monastero trappista e sotto la stretta supervisione dei monaci e il ricavato deve essere destinato al sostentamento del monastero.  In Italia c’è la Tre Fontane , che prende il nome dall’abbazia che si trova lungo la via Laurentina a Roma.  Tra preghiere e litanie dei salmi, un buon boccale...

Sulle vette che non ci sono più

Immagine
«Vi rompiamo le scatole, signori, perché nessuna fonte appartiene al proprietario del terreno. Magari ha il diritto di attingere l’acqua. Ma la fonte appartiene, in modi regolati dalla legge, anche a tutti quelli che vengono dopo. Altrimenti il proprietario delle fonti del Po potrebbe chiudere il rubinetto e lasciare la pianura padana all’asciutto. Vi rompiamo le scatole perché un ghiacciaio è un bene pubblico, è una falda acquifera, non lo potete usare come vi pare. È l’acqua che beviamo anche noi. Non potete accelerare il suo scioglimento triturandolo per fare una pista. Non è di Zermatt, non è di Cervinia, è di milioni di persone tra il Monte Rosa e la laguna veneta. È anche mio, che per altro sono un cittadino valdostano». L’energica presa di posizione dello scrittore Paolo Cognetti apparsa sul quotidiano  La Repubblica  dell’8 novembre scorso, ha scaldato un po’ gli animi. Già, perché il dibattito sul cambiamento climatico è ben presente nell’opinione pubblica italiana. ...

Arrosticini, il vanto d'Abruzzo

Immagine
Gli arrosticini sono famosi in tutto il mondo. Un po’ come la pasta, o la pizza. Solo che hanno un  made in  specifico: l’Abruzzo. Una cultura antica che rimanda alla memoria della transumanza quando i pastori spostavano le pecore dall’Abruzzo alla Puglia nella stagione invernale.  Qui la pecora è sinonimo di arrosticini. Si cuociono sulla brace attraverso un barbecue particolare, costruito in casa, la “fornacella”, che permette agli arrosticini – spiedini di circa 25/30 grammi l’uno – di arrostire per bene, di non bruciare e di mantenere le proprietà organolettiche della carne intatte. Serviti poi in un vaso di terracotta, danno gioia al gusto, all’olfatto e alla vista.  Ormai si mangiano ovunque. Vengono spediti a casa, bracerie e ristoranti li propongono come piatto principale. Anche se assaggiarli all’aperto, cotti nella “fornacella” da mani esperte e avendo davanti a sé lo spettacolo dei suoi quattro Parchi nazionali e regionali, non ha prezzo.  Gustando gl...