In Scozia, lungo le strade del whisky


Dicono che l’autunno sia la stagione migliore per degustare le delizie del bosco. I funghi porcini, ad esempio, o il tartufo. Usciti fuori dal caldo torrido estivo, l’odore del bosco e della pioggia ci fanno compagnia per molti giorni. E veniamo coccolati da una nostalgia ambientale e perfino spirituale che si aggrappa all’atmosfera un po’ crepuscolare della stagione intermedia. 

La stagione dell’autunno ci restituisce l’anima di casa, i buoni libri letti, la musica migliore. E, ovviamente, un buon “nettare degli dei”.

Con l’autunno ormai imminente vedo, ascolto, annuso, degusto, assaggio e mi genufletto davanti a un single malt scozzese, al re dei superalcolici, il whisky. Credo che non ci sia una bevanda come il whisky, il famoso distillato ottenuto dalla fermentazione e successiva distillazione di vari cereali, maturato in botti di legno, che ci avvicini al paradiso.

 

Sarà che la Scozia la amiamo a prescindere. Basterebbe solo la musica a riempirci le giornate. Però avvicinarsi a un buon bicchiere di whisky significa celebrare la storia, la vita e qualche scorribanda che, appunto, andrebbe raccontata solo attraverso serate in amicizia e “beverine”.

Con il whisky, sia esso originario di Campbeltown, Highlands, Islay, Lowlands e Speyside, le cinque zone di produzione della Scozia, ho un rapporto di amore profondo, quasi ancestrale.

Non attraverso più le zone umaniste dell’Armagnac della nobile e altezzosa Francia, o quelle più agricole e montuose della nostra Grappa. Qui, basta un sorso per perdersi nel Medioevo, in racconti di pirati e mercenari, nell’Inquisizione e nella Controriforma, in viaggi per mari e monti, attraverso salmi e compiete, liuti e tamburi, re e regine, bettole e imperatori.

Con il whisky si viaggia nella storia, ci appassioniamo di nuovo alla grande letteratura, ci vediamo un film di quelli seri – magari La parte degli angeli (The Angels’ Share), film del 2012 diretto da Ken Loach, un inno al single malt –, e ascoltiamo tanta bella musica. Capercaillie, Kharen Matheson, Clannad, Moya Brennan, Enya, tra i più noti.

 

Il whisky scozzese, differente da quello irlandese che tra l’altro si scrive con la “e”, whiskey, non è sola grammaticale. Il single malt, infatti, è l’unico che può essere chiamato anche scotch perché rispetta determinate caratteristiche di un rigido disciplinare; tra i requisiti, anche l’invecchiamento, che deve rigorosamente avvenire in Scozia. In quella Scozia selvaggia e campagnola, costellata da una miriade di distillerie, di piccole e grandi dimensioni, ubicate sulle rive di laghi e fiumi da cui i produttori di distillati ricavano l’acqua per realizzare i “loro” whisky. 

Le 5 regioni scozzesi del whisky hanno nomi ormai rimasti nella storia, anche perché un viaggio in Scozia non è un vero viaggio se non ci inoltriamo lungo le strade del whisky: Highlands, Speyside, Lowlands, Islay, Campbeltown.

 

Con le Highlands entriamo nella Scozia più vera. È la più vasta area geografica di produzione di whisky della Scozia. Il suo sapore è più morbido e fruttato. Spesso sono caratterizzati da note agrumate e aromi profumati.  Qualche nome? Glenmorangie, Glendronach, Oban.

Lo Speyside, invece, si trova nella zona centrale della Scozia e concentra la maggior parte delle distillerie. Qui si trova il Malt Whisky Trail, uno dei più famosi itinerari per gli appassionati di whisky di tutto il mondo. Tra i classici del luogo, il famoso Glenlivet. Senza dimenticare il Balvenie.

La regione delle Lowlands copre la parte meridionale della Scozia e comprende alcune delle distillerie più antiche del paese. Qu si assapora una Scozia dolce, mite, tollerante, e i sui “spiriti” sono morbidi, non urticanti, leggeri, gentili. Il neofita del whisky può iniziare da qui il suo viaggio nella sobria e fredda Scozia. Glenkinchie, tra i whisky più noti.

Con Islay, un’isola situata nell’oceano Atlantico, a sud-ovest della Scozia, facciamo conoscenza con la Scozia portuale, torbata, fumosa. Il suo whisky è forte e generoso, spesso dal sapore affumicato e torbato, quello che ormai è diventato il made in Scozia più famoso al mondo. La legna, il mare, la torba ti entra in gola e al naso al primo assaggio. Due nomi su tutti: Laphroaig e Lagavullin.

L’ultima regione produttrice di whisky scozzesi, Campbeltown, si trova nella penisola di Kintyre, ad ovest della contea di Argyll, sulla costa occidentale della Scozia. Il whisky prodotto qui è estremamente torbato, spesso caratterizzato da un gusto salato e iodato, con note di mare e alghe. Longrow e Hazelburn su tutti.

 

Qualche whisky a cui non potrei mai rinunciare? Sicuramente alcuni delle Islay: Caol Ila, tanto per iniziare, e poi l’insuperabile torbato mix di tre diverse botti, ex-Bourbon, ex-Sherry Pedro Ximenez e botti vergini, che è l’An Oa Ardbeg.

Poi un whisky delizioso, unico, trascendentale: l’EdradourL’Edradour era molto nota qualche anno fa per essere la più piccola distilleria di Scozia, con una produzione di soli 12 botti alla settimana e gestita da soli tre uomini a tempo pieno che si occupano di tutta la fase di produzione e che seguono metodi di lavorazione completamente manuale. Un lusso.

 

Ogni “spirito di vino” va sorseggiato con cautela, vista l’alta gradazione alcolica che contiene. Avendo frequentato diverse volte il monastero di Camaldoli, ho potuto constatare come, al di là degli anni dei monaci e dei loro acciacchi fisici, tendenzialmente dopo ogni pranzo sorseggiano sempre un buon bicchierino del loro famosissimo Laurus, il liquore preferito di Camaldoli, che nasce da un’infusione di dodici erbe fra cui predomina l’alloro. A mia domanda diretta, hanno sempre risposto che il Laurus, con la sua forte predominante alcolica di 48 gradi, non è che faccia digerire, in realtà “fa proprio bene al corpo”. Soprattutto se attraversato dai classici malanni stagionali.

Con la dovuta attenzione, mi pare che questo concetto “che fa bene al corpo” dei miei amici monaci camaldolesi, possa essere applicato al nettare degli dei, il whisky.

E mi sembra che, tutto sommato, i miei amici monaci abbiano davvero ragione.

 

 


ps:
Come degustare un bicchiere di whisky
Il primo passo è usare il bicchiere giusto, che deve avere un’ampia bocca in modo da favorire il passaggio degli aromi. Volendo andare sul sicuro ci si può rivolgere alla Glencairn, azienda scozzese specializzata nella produzione di bicchieri pensati apposta per i single malt.

Come servire il whisky scozzese? Il ghiaccio è vietato, perché snatura la ricchezza del distillato e perché riduce la sensibilità delle papille gustative. Il whisky si beve a temperatura ambiente, senza allungarlo con soda, cola o altro. L’unico liquido che può essere associato è l’acqua fresca, da servire a parte. 

La degustazione comincia dal naso. La prima annusata deve essere piccola e veloce, così da preparare l’olfatto a un aroma differente da quelli quotidiani. Solo dopo si può annusare più a lungo una seconda e terza volta, ma senza esagerare: bisogna infatti evitare di sovraccaricare l’esperienza e confondere il naso. Annusare l’acqua è un buon modo per “ripulire” l’olfatto e assaporare al meglio il bouquet del whisky.

Anche il primo sorso serve per preparare la degustazione. Gli esperti consigliano di tenerne una piccola quantità a metà della lingua per qualche secondo. Poi è tempo di un sorso più corposo, che deve essere fatto circolare lentamente nella bocca e intorno a tutta la lingua. A partire dal terzo sorso, alternare un po’ d’acqua fra uno e l’altro consente di non sovraccaricare il palato. 

(Fonte: https://www.iconmagazine.it)


*pubblicato su Madre, ottobre 2023

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